Jesi - Teatro Pergolesi
I PURITANI di Bellini
Di Giosetta Guerra
Ottime le voci scure
I Puritani, melodramma in tre atti di Vincenzo Bellini su libretto di Carlo Pepoli, tratto dal dramma storico di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface (noto col nome di Saintine), Têtes rondes et Cavaliers, debuttò al Théâtre Italien di Parigi il 24 gennaio del 1835, con esito trionfale. Merito delle scelte musicali di Bellini, che ha unito la scorrevolezza del melodramma italiano e la ricercatezza del teatro musicale francese, merito anche di un cast di fenomeni vocali, quali Giovanni Battista Rubini, Giulia Grisi, Luigi Lablache e Antonio Tamburini.
Con il ricordo di siffatti vocalisti chiunque oggi voglia allestire I Puritani, che riserva ai solisti pagine di estremo virtuosismo, deve fare i conti col passato.
I veri trionfatori de I Puritani, allestiti al Teatro Pergolesi di Jesi per l’inaugurazione della stagione lirica 2012, sono stati il baritono coreano Julian Kim che è entrato nel carattere nobile e cavalleresco di Sir Riccardo Forth, colonnello puritano innamorato non ricambiato di Elvira, e il basso Luca Tittoto nel ruolo dell’ex- colonnello Sir Giorgio Valton, zio e confidente di Elvira.
Julian Kim (Riccardo) è un cantante baciato dalla fortuna per il dono naturale della voce (un’imponente vocalità scura di straordinaria bellezza, ricca di armonici, di notevole peso, ampiezza ed estensione) e dotato di un’ottima tecnica (legato e dizione perfetti, magnifica proiezione del suono sul fiato e con messa di voce, linea di canto morbida e sfumata nelle arcate melodiche e nelle estese progressioni acute della cavatina “Ah, per sempre io ti perdei”, possente nei momenti marziali).
Luca Tittoto (Giorgio) si è imposto per un’accattivante voce di basso ampia e vibrante, per la rotondità, la morbidezza e il sostegno del suono anche nel registro grave, per l’interpretazione pregnante e comunicativa grazie a un bel modo di porgere, al canto sul fiato, all’emissione fluida, al bel legato, alla sensibilità del fraseggio.
Bravo anche il basso Luciano Leoni che ha cantato con voce ben timbrata la parte del Governatore puritano Lord Gualtiero Valton, padre di Elvira.
Due voci più mature (non d’età ma di consistenza e d’esperienza) nei ruoli protagonisti di Arturo ed Elvira non avrebbero guastato.
Nel terribile ruolo di Lord Arturo Talbo (cavaliere e partigiano degli Stuardi) ha debuttato il tenore leggero Yijie Shi, un contraltino rossiniano, ascoltato nel Conte Ory a Pesaro e nel Viaggio a Reims a Firenze. Le sue doti naturali (voce chiara, estesa, acutissima, ben proiettata), non disgiunte dalla serietà della sua preparazione, gli hanno permesso di raggiungere con sicurezza e spavalderia le alte tessiture fino a zone stratosferiche, ma la voce è risultata rigida specialmente negli acuti che erano taglienti perché affrontati di forza e non in maschera, il timbro era più gradevole nel settore medio basso per un fraseggio morbido e l’uso della messa di voce. Il ruolo infatti, oltre a squillante ardimento e canto d’impeto, richiede anche passione, delicatezza d’espressione e accento accorato, che il tenore giapponese deve acquisire perfezionando la “flexibility”, come diceva Samuel Ramey.
Maria Aleida, soprano leggero di coloratura, ascoltata proprio quest’anno nel Signor Bruschino a Pesaro, ha affrontato coraggiosamente il ruolo di Elvira, facendo affidamento sulle qualità belcantistiche della sua voce e sulla sua buona tecnica di canto. Ha cantato bene, con voce agile, luminosa, svettante, ha eseguito cadenze, filati anche rinforzati, belle scale cromatiche e sovracuti siderali, il canto nella tessitura acuta era splendido, la linea di canto morbida, ma la voce di poco peso a volte non si sentiva, i centri erano carenti e la dolcezza della melodia riservata all’eroina romantica spesso non usciva.
Il mezzosoprano Elide De Matteis Larivera ha prestato una voce tremolante alla regina Enrichetta di Francia.
Dario Di Vietri (l’ufficiale puritano Sir Bruno Robertson) è un tenore con voce chiara ed estesa ma non di bel timbro, perché usa poco la maschera.
Il Coro Bellini, preparato da Pasquale Veleno, è stato artefice di belle scene corali ed ha tenuto una linea di canto morbida ed intensa.
Su tutto prevale comunque la bellezza della musica di Bellini, un Bellini sublime, quasi metafisico, che fa un’operazione di trasposizione musicale degli affetti; unisce le due espressioni dell’anima romantica: l’impeto nobile e virile e la tenerezza patetica, riserva la musica più commovente alla scena della follia, quella più convenzionale alla cabaletta risorgimentale “Suoni la tromba”, e quella più brillante al coro femminile.
La continuità e compattezza della narrazione, che mantiene il colore storico, sono frutto di cura armonica e di accurata articolazione del tessuto strumentale.
Tutte le caratteristiche di questa partitura, piena di grande musica in bilico tra il belcanto e il grand-opéra francese, sono uscite a tratti dalla lettura di Giacomo Sagripanti, al suo debutto nella direzione de I Puritani; il ritmo sostenuto, le sonorità a volte troppo alte dell’orchestra Filarmonica Marchigiana, qualche imprecisione del corno, si sono alternati con il ricamo orchestrale sotto i dialoghi, la morbidezza nell’accompagnamento delle arie melodiche, le atmosfere sospese nella scena della follia.
La scenografia semplice e austera con qualche simbologia, disegnata da Guido Buganza, sicuramente in concordanza con l’idea registica, si sviluppava su due piani, sia per mostrare azioni in contemporanea sia per tenere separate le due sezioni (maschile e femminile) del coro.
L’austerità si ripeteva nei costumi (ideati da Margherita Baldoni) delle masse corali: tuniche monacali nere con cuffie e grandi collari bianchi per le donne, cappelli e abiti puritani neri con collarini bianchi per gli uomini, bianco l’abito della sposa, rosso quello d’Enrichetta, scure le armature, qualche tocco di bianco e di rosso per spezzare il grigiore.
Il regista Carmelo Rifici ha fatto sfilare due bare portate a spalla all’inizio dell’opera, ha avuto qualche idea originale, ma si è tenuto sul classico, forse avrebbe dovuto curare di più l’esternazione dei sentimenti umani. Complici le luci di Fabrizio Gobbi.
Nell’insieme una bella recita che ci ha coinvolto.
Curiosità storiche
Il tenore Mario Tiberini fu uno dei massimi interpreti del ruolo di Arturo nell’800. L’ha debuttato nel 1854 a San Juan de Puerto Rico, prima tappa e prima opera in suolo americano. Dal 1854 al 1874 l’ha cantata per ben 18 stagioni liriche in America, Spagna, Inghilterra, Italia, Francia, ottenendo ovunque larghi consensi. Per le serate londinesi, dove Tiberini cantò con la moglie Angiolina Ortolani, il giornale milanese Il Trovatore del 5 Maggio 1861 scrive “Tiberini riportò una seconda vittoria al Covent Garden ne’ Puritani. Egli ha suscitato ancor più entusiasmo che nella Favorita". A Trieste larghi consensi vengono riservati alla coppia Tiberini: lei, Elvira elegante, suasiva, non travolgente; lui, erede di Moriani e tenore dalle messe di voce rapinose, degne dei palpiti romantici di Arturo. Nel 1868 Mario e Angiolina la cantano anche al Théâtre Italien di Parigi, dove I Puritani videro la luce nel 1835.
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