Macerata Opera Festival 2012
La Bohème di Giacomo Puccini
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger(Arena Sferisterio 27 luglio 2012)
A cura di Giosetta Guerra
Emerge la coppia Francesco Meli-Serena Gamberoni
La scenografa Federica Parolini opta per una scenografia minimalista ricca di colore con un minifondale trapezoidale spennellato, posters, pochi arredi sparsi tra cui una stufa.
Con il disegno luci di Alessandro Verazzi il fondale all’inizio prende la forma di una pineta di soli tronchi, la scena è scura nel I atto, sì da non distinguere i visi dei bohémiens, poi quando Mimì perde la chiave e Rodolfo dice “è buio pesto” la luce è bella chiara. Ottime le luci per atmosfere surreali nel II atto.
La costumista Silvia Aymonino fa indossare a Marcello una mantellina a uncinetto, a Schaunard una tuta rossa, un cappotto a scacchi b/n e una parrucca riccioluta, a Rodolfo jeans neri, camicia a scacchi e scarpe da tennis, a Musetta un attillato e vistoso abito in lamè d’argento, veste Parpignol da Babbo Natale.
Tutto in accordo con le idee registiche di Leo Muscato, che racchiude in un ambiente gioioso, variopinto e tanto bohémien scene d’amore, di vita, di morte e di contestazione.
La cura dei dettagli è certosina: nella soffitta c’è il battuscio come via d’accesso, Marcello dipinge a terra (è tanto povero che non ha neanche un cavalletto), Rodolfo ha sulle spalle una coperta (visto che non ha il riscaldamento), Musetta firma autografi come una diva, il quartiere latino ha un aspetto tra il circo con palloncini volanti, berretto da Babbo Natale in testa a tutti, e la discoteca con un chitarrista rock, la barrière d’Enfer con la classica cancellata è qui una Fonderie d’Enfer in mano a scioperanti con cartelli di protesta contrastanti, si vedono bidoni accesi, un furgoncino, poliziotti, spazzini, gente in bicicletta, coro dietro l’arco. In palcoscenico cambi a vista, molto colore, vivacità e movimento per una Bohème giovane e scintillante nonostante la miseria.
Qualche incongruenza nel IV atto:
Marcello quando dice “Che penna infame” usa la macchina da scrivere, Musetta annuncia che Mimì malata è per le scale, invece Mimì arriva da una corsia d’ospedale che si apre sul fondale e distesa su una barella con la flebo viene spinta da due infermieri in palcoscenico (uno scollamento di tempo e d’azione).
Bei quadretti coreografici in scena grazie a Michela Lucenti e all’Ensemble di teatro fisico Balletto Civile.
L’opera termina con le figure in controluce.
Al debutto nel ruolo protagonista, Francesco Meli delinea un Rodolfo dinamico e moderno, scenicamente molto credibile; vocalmente emerge per la freschezza dello smalto, la brillantezza del registro acuto, la bellezza dello squillo, la ricchezza dei colori, la fluidità del suono, l’abilità tecnica a piegare la voce alle esigenze delle situazioni, dall’attacco maschio con voce scura di Che gelida manina, alla gentilezza del canto soffuso in Talor nel mio forziere che si illumina nella speranza, all’intensità dell’interpretazione specialmente nel IV atto, dove la voce tenorile è nel pieno della bellezza timbrica, della delicatezza delle sfumature e il suono corre e si espande in arena.
Voce melodiosa con la tinta pucciniana è quella di Carmen Giannattasio nei panni di Mimì. Il soprano esibisce delicate mezze voci, suono rotondo, acuti lunghi e luminosi, ma gravi vuoti (Sì, mi chiamano Mimì), ha un bel colore vocale, ma marca troppo la erre, il canto è per lo più spinto, ma sa anche alleggerire e sono pieni anche i suoni a mezza voce. Melodiosa e brava interprete, purtroppo all’aperto non arriva tutto, il sottovoce si perde.
Certo, a pensarci bene, Mimì è proprio una ragazza facile, ci sta subito e lo chiama immediatamente amore. O era una furbetta?
Magnifica la Musetta di Serena Gamberoni, un soprano dalla voce di bellissimo timbro, luminosa, estesa, scintillante, che sgorga naturalmente con una linea di canto morbida e fluida e una tecnica d’emissione sul fiato, bravissima e bellissima nelle vesti di una diva in lamè, domina il palcoscenico come un punto luce sia visivo che vocale.
Ha una buona voce di baritono Damiano Salerno (Marcello), sostiene il suono e canta bene.
Voce autorevole per Colline, quella timbrata e morbida del basso Andrea Concetti, ricca di colori negli accenti e nella modulazione dei suoni; perfetta la sua Vecchia zimarra per colore e gestione della voce.
Negli altri ruoli abbiamo apprezzato Andrea Porta (Schaunard), Alessandro Pucci (Parpignol), Antonio Stragapede (Benoit), Lucio Mauti (Alcindoro), Roberto Gattei (Sergente dei doganieri), Gianni Paci (doganiere), Giovanni Di Deo (Venditore).
Sempre presente con discrezione, sommessa anche nelle pagine più scoperte l’Orchestra Regionale delle Marche, ben diretta Paolo Arrivabeni. Hanno contribuito anche scenicamente il bravo Coro Vincenzo Bellini preparato da David Crescenzi, il Coro di voci bianche Pueri Cantores Zamberletti (che si saranno anche divertiti) e la Banda Salvadei Città di Macerata.
Foto Tabocchini Macerata
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