R.O.F 2012
M a t i l d e di S h a b r a n
(Pesaro – Adriatic Arena - 11 agosto 2012 – prima)
Servizio di Giosetta Guerra
S'impone la statura vocale e scenica
di Juan Diego Florez.
Stesso protagonista maschile, stessa scenografia (costumi e regia
compresi) del 2004, traslocati all’Adriatic Arena, per Matilde di
Shabran, o sia Bellezza e cuor di ferro, opera semiseria di Rossini del
1821, che conobbe momenti di gloria fino al 1830 e momenti di oblio e di
semi oblio fino al 1859, anno in cui ritornò in auge grazie alla coppia
Mario Tiberini-Angiolina Ortolani che la interpretarono al Teatro del
Liceo di Barcellona e dal 1863 al 1875 alla Scala di Milano e in molti
teatri italiani ed europei per ben venti produzioni.
A Pesaro il
lavoro incrociato del regista Mario Martone con lo scenografo Sergio
Tramonti, la costumista Ursula Patzak e il disegnatore luci Pasquale
Mari ha prodotto un allestimento originale, che al primo impatto colpiva
per lo sviluppo in verticale, la sinuosità delle linee e la mobilità di
una doppia scala ferrigna a chiocciola, via d’accesso al castello, al
centro di un ambiente oscuro, ma ad un’attenta analisi lasciava capire
il perché di certe scelte. Così l’ambiente tetro rispecchiava il clima
creato dalla prepotenza del misogino Corradino, la scala era di ferro
come il suo cuore, ma era mobile e mutevole come i suoi sentimenti
contrastanti e sinuosa come le grazie di Matilde.
Il regista ha
fatto muovere i personaggi, che entravano da ogni parte, ai piedi delle
scalinate e sugli scalini, creando diversi piani d’azione e suggestivi
tableau, il tutto filtrato col velo dell’ironia.
Nel ruolo del
castellano tiranno si è imposto nuovamente il tenore belcantistica Juan
Diego Florez per la padronanza della coloratura rossiniana, per la
particolare flessibilità dell’organo vocale nelle agilità di forza, nel
canto sillabato, negli slanci svettanti e limpidi, negli arabeschi e
nelle volatine, per la verve della sua interpretazione, grazie anche al
phisyque du role (strepitoso nell’esternare la sua alterigia), e per il
piglio determinato nel gestire lo spazio scenico. Nel quartetto Alma
rea, nei quintetti, nei sestetti e nei finali si staccavano le lance
acutissime di Florez, che ha però dovuto aspettare quasi il Finale
dell’opera per esibirsi in un’aria tutta sua. Un vero mattatore, così
giovane e da tempo re del belcanto.
Il soprano Olga Peretyatko nel ruolo dell’astuta Matilde di Shabran ha
esordito con un mezzo vocale di poco spessore, ma è cresciuta in corso
d’opera. La voce agile e limpida arrivava dappertutto, si addolciva e la
gola si è rivelata idonea al canto d’agilità e di coloratura.
Anche
lei ha avuto modo di sfoggiare la sua arte solo nel rondò finale
gaiamente virtuosistico Son tua…, cantando come un usignolo e sollevando
grandi applausi per la padronanza tecnica con cui ha affrontato quello
sfarfallio di note e di cadenze.
Attore versatile e regista di
se stesso, il basso buffo Paolo Bordogna ha ricoperto con intelligenza
ed acume il ruolo del poetastro Isidoro, che si esprime in napoletano ed
ha molti recitativi accompagnati dal fortepiano; la voce è agilissima
come la musica, ben usata e corre come il personaggio che non sta fermo
un momento.
L’ingresso del medico Aliprando era accompagnato da
un ritmo cadenzato, come di marcia, la voce era quella ampia e
autorevole di Nicola Alaimo, agilissima nei sillabati e nella fitta
scrittura.
Nel ruolo en travesti del nobile Edoardo, figlio di
Raimondo, il mezzosoprano Anna Goryachova ha dimostrato di padroneggiare
il canto di coloratura; nelle due splendide pagine di notevole
difficoltà esecutiva, la cavatina del I atto Piange il mio ciglio e la
scena e cavatina Sazia tu fossi alfine…Ah! perché, perché la morte del
II, con l’accompagnamento virtuoso del corno (favoloso) e l’incalzare
dell’orchestra, la Goryachova ha esternato la bellezza, l’ampiezza e la
duttilità del suo mezzo vocale, la rotondità, la luminosità e la
morbidezza del suono, la buona gestione del fiato in ogni registro e una
bella linea di canto.
Il basso Simon Orfila nel ruolo del torriere
Ginardo ha evidenziato voce ampia, con buone arcate e buone
progressioni dal grave all’acuto, ma poco ferma nei tempi lenti.
Nelle
vesti ridicolizzate della Contessa d’Arco Chiara Chialli ha esibito una
voce di mezzosoprano agile nei sillabati, ma poco fluida
nell’emissione, i suoni sono risultati un po’ pompati e poco naturali.
Il tenore Giorgio Misseri ha prestato una voce poco aggraziata a Egoldo, capo dei contadini.
Il
vecchio padre Raimondo Lopez è stato interpretato dal basso Marco
Filippo Romano e Rodrigo, capo degli armigeri dal tenore Ugo Rosati.
I
coristi, che vestivano i panni degli armigeri, dei villani e delle
villanelle e che comparivano in apertura e in chiusura degli atti
partecipando ovviamente ai concertati, erano quelli del Coro del Teatro
Comunale di Bologna, preparato da Lorenzo Fratini.
In sala si sentiva l’eco, come se le voci fossero amplificate.
Cesellatore
della musica rossiniana, che è un continuo ricamo, e con occhio attento
sia alla buca che al palcoscenico, il giovane ed esperto direttore
Michele Mariotti ha guidato l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
con gesto sicuro fin dalla Sinfonia, tratta da Edoardo e Cristina, che è
inizialmente delicata e resta aerea e leggera anche quando si scatena
il ritmo rossiniano.
L’opera, ricca di brio e di vivacità, è
terminata con tutti i personaggi distribuiti sulla pedana ruotante alla
base delle due scale, a mo’ di figurine fisse di un carillon che gira a
suon di musica.
Uno spettacolo veramente piacevole.
Crediti fotografici: Amati-Bacciardi per il R.O.F. di Pesaro
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