Fano - Teatro della Fortuna
(4 aprile 2012)LE QUATTRO STAGIONI con la Spellbound Dance Company
70 minuti di ginnastica serrata in un ambiente tetro ed incolore
Di Giosetta Guerra
L’aver scritto sul programma “Musiche di Antonio Vivaldi” ha tratto in inganno lo spettatore che si aspettava di ascoltare della buona musica, anche se registrata, arricchita sul versante visivo da coreografie classiche.
Invece di Vivaldi si è sentito a sprazzi solo l’inizio della Primavera, il resto erano cinguettii di uccelli, rumori e suoni mixati da Luca Salvadori e le coreografie di Mauro Astolfi erano una convulsione di movimenti, ottimi per la tonicità muscolare. Il corpo di ballo della Spellbound Dance Company, formato di sei donne e tre uomini, era certamente ben allenato e resistente. I movimenti, a volte compulsivi e a volte morbidi, le contorsioni dei corpi, le fibrillazioni a terra, gli slanci verso l’alto, le figure intrecciate e le movenze plastiche lasciavano intravedere corpi agili, sinuosi, snodati e con grande senso del tempo e dell’equilibrio, ma la coreografia è risultata ripetitiva e noiosa, più intensa e captante sul finale. La danza, ovviamente, non era sulle punte, anche se la conformazione del collo del piede delle danzatrici e le spaccate lasciavano percepire una preparazione classica. Forse nell’idea del regista Enzo Aronica c’era anche una trama, ma molti di noi non l’hanno capita. O forse il filo conduttore era proprio il succedersi delle quattro stagioni, ma non sono state le coreografie a farcelo capire, bensì, dopo un po’, le proiezioni in bianco e nero di fiori, foglie, pioggia, neve e altre figure indefinibili sulle pareti di una casetta cubica, continuamente mossa e girata anche sotto sopra dai danzatori e portata in primo piano dal bel disegno luci di Marco Policastro, che ne ha colorato l’interno lasciando i ballerini in una penombra attraversata da fiochi fasci di luce bianca proveniente dall’alto. Originale l’immagine della figura femminile proiettata all’interno della casa, che incuriosisce ed attrae come un sogno irrangiungibile maschi e femmine della compagnia. I costumi erano casual (magliette e pantaloni o gonne corte) e i piedi senza scarpe.
La casetta multiuso mi ha riportato alla mente un allestimento di Wozzeck di Alban Berg al Teatro Comunale di Bologna con le scene di Wolfgang Gussman.
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