giovedì 25 dicembre 2014
Fano-prosa: Sinfonia d'autunno
di Ingmar Bergman
(6 dicembre 2014)
Recensione
di Giosetta Guerra
non potersi raccontare a
nessuno
Ề buio e
tuona; a poco a poco la scena s’illumina della fioca luce di due lampade ai
lati di un lungo divano grigio posto davanti ad una vetrata, a sinistra la
scrivania di Eva, a destra un televisore dove Viktor guarda le immagini del
figlioletto scomparso e in un angolo la cameretta coi giochi rimasta intatta,
dove i genitori isolatamente si rifugiano nell’illusione di continuare a
parlare e a giocare col figlio. Una scala laterale porta ad un lungo ballatoio
che conduce alla camera di Helena, costretta a letto o sulla sedia a rotelle
dalla sua infermità. In quella casa regnano silenzio e dolore, squarciati ogni
tanto dalle grida laceranti di Helena, seguiti dalla corsa precipitosa di Eva
che corre dalla sorella, i dialoghi tra Eva e Viktor sono meri monologhi,
l’atmosfera è cupa, i costumi sono grigi e austeri, la scena è grigia e popolata
di fantasmi del passato, perfino da un fantomatico pianoforte che Charlotte
finge di suonare sedendo su un seggiolino posto sul boccascena e tenendo le
braccia in avanti protese nel vuoto in atteggiamento di usare la tastiera
(originale idea registica). L’arrivo di Charlotte, famosa pianista e madre di
Eva, per lo più assente a causa della sua carriera, ma presente nell’esercizio
del suo dispotismo, segnando negativamente la vita delle figlie, fa ritornare a
galla le frustrazioni del passato scatenando violente reazioni tra i componenti
della famiglia. Vorrebbero comunicare, vorrebbero perdonare, ma il baratro è
troppo profondo e ognuno di loro è solo perché non riesce a raccontarsi
all’altro.
Lo stile asciutto e serrato di Bergman è la stessa cifra stilistica di Gabriele Lavia, che ha curato la regia di Sinfonia d’autunno ed ha preparato gli attori alla lettura e
all’interpretazione di un testo difficile, di una storia complicata, di un
groviglio di vipere attraversato dai fili dell’alta tensione. La sua impronta
è evidente nel modo di recitare degli artisti, nell’abilità di scavare
nell’intimo dei personaggi per far emergere l’egocentrismo e l’autoritarismo
della madre, la sofferenza sia fisica che interiore delle due sfortunate
figlie, la drammatica rassegnazione dell’unico uomo di casa.
Charlotte è interpretata da un’insuperabile Anna Maria Guarnieri al suo sessantesimo anno di teatro. Vestita con un
comodo camicione prima grigio poi rosso (unica macchia di colore in questo
grigiore snervante e ossessivo, come la vita dei membri della famiglia), tiene
una recitazione pacata nel racconto delle ultime ore di suo marito Leonardo, la
dizione è chiarissima, ma poi la gestualità tradisce la sua nevrosi dovuta a
continue lotte interiori e al mal di schiena, si alza, passeggia, si
pavoneggia, s’innervosisce per la figlia malata e ogni tanto si distende sul
divano sempre nello stesso angolo, con la testa indietro e le braccia larghe
continuando a parlare. Recita distesa anche sullo sgabello del pianoforte, sul
tavolino del salotto contorcendosi per il dolore, gattona e parla parla parla,
si placa solo davanti al pianoforte fantasma, dove obbliga la figlia a sedersi
con lei, a fingere di suonare e ad ascoltare le sue lezioni sul modo
d’interpretare Chopin. La recitazione si fa fremente quando parla della sua
carriera, del calore e della tenerezza con cui interpretava Schumann, l’amore
per il pianoforte che l’ha tenuta in vita ma lontana dai doveri familiari è
ancora forte, e ora che la sua carriera è finita emergono i dubbi e i
rimpianti, tuttavia per lei è “meglio una sana donna anormale”, ma poi
aggiunge “Avevi i toni dell’amore ma non
avevi l’amore”; è una donna cinica e sofferente, che, nonostante i suoi
rimorsi come madre mancata, non rinuncia ad una nuova tournée comunicatale al
cellulare (aggiunta registica). L’interpretazione della Guarnieri è magistrale
per la sicurezza e la fluidità dell’eloquio, per l’espressività gestuale, per
la padronanza scenica, per la caratterizzazione del personaggio in tutte le sue
sfumature.
Danilo Nigrelli delinea magistralmente quel pover’uomo di Viktor,
che non sa più che pesci prendere con quelle tre donne sull’orlo di una crisi
di nervi, compie gli stessi gesti, fa le stesse azioni (gira il televisore, lo
accende, prende la seggiolina, si siede, guarda il video di suo figlio, spegne
il televisore, lo rigira, mette a posto la seggiolina) e si consola pensando
che nella vita c’è un solo fenomeno di cui non si sa nulla: la vita stessa.
Peccato che il regista non sia uscito alla fine per
gli applausi.
Scene di Alessandro Camera, costumi di Claudia Calvaresi, musiche originali di Giordano Corapi, luci di Simone De Angelis, produzione Teatro Stabile dell'Umbria/Fondazione Brunello Cucinelli.mercoledì 17 dicembre 2014
Torino Teatro Regio - Giulio Cesare
Teatro
Regio di Torino
Giulio Cesare
Dramma degli affetti contrapposti in tre atti, Libretto di Nicola Francesco Haym
da Giacomo Francesco Bussani, Musica di Georg Friedrich Händel
(Debutta il 20 febbraio del 1724 al King's Theatre di Londra)
(recita del 23 novembre 2014)
Analisi di Giosetta Guerra
Una straordinaria miniera di pirotecnie virtuosistiche e di raffinatezze musicali per trenta magnifiche arie tripartite d’amore e di vendetta precedute da recitativi secchi, tre ariosi, quattro recitativi accompagnati, due duetti, due cori e sublimi pezzi orchestrali (un’ouverture e quattro brevi sinfonie)
Ascoltando Giulio
Cesare di Händel ci si
chiede come faccia un essere umano a comporre musica così divina. Basterebbero
le due arie di Cleopatra di fine secondo e terzo atto per cadere in estasi come
Santa Teresa, ma tutti i 30 pezzi chiusi riservati ai personaggi hanno
un’architettura musicale di prestigio che dà speciale rilievo alla magnifica
musica d’apertura e di chiusura delle arie e accompagna, sostenendole o
dialogandoci, le acrobazie delle voci.
Le
arie sono tutte col da capo, quindi lunghissime e richiedono enorme perizia
vocale per non perdere peso, colore, agilità.
E le voci in questa edizione del Regio di
Torino, almeno quelle principali, sono davvero di primo livello. Maestre del
canto di coloratura e brave nei diversi registri espressivi, nel rispetto della
prassi esecutiva barocca, il contralto Sonia Prina (Cesare primo imperatore dei romani) e il soprano Jessica Pratt (Cleopatra regina d'Egitto) formano una coppia
vocalmente meravigliosa, anche se scenicamente devon studiare delle posizioni
per attenuare la differenza di statura.
Giulio Cesare, grande impervio ruolo barocco scritto per il
castrato Francesco Bernardi, detto il Senesino, è un autentico personaggio eroico e Sonia Prina, con corazza da
guerriero e gonnellino a frange fino al ginocchio, assecondata dalla gestualità
del corpo e dall’espressione del viso, ha una credibilità incredibile in questo
ruolo virile. Sul piano vocale la cantante si fa apprezzare per lo scavo della
parola, i gravi corposi, la morbidezza del suono (aria “Presti ormai
l’Egizia terra”, atto I sc. I), l’abilità nel canto sbalzato e nella
coloratura furiosa (“Empio, dirò, tu sei”, atto I sc. III, aria di
furore con frenetica introduzione strumentale contro Achilla che ha portato la
testa di Pompeo); esperta del recitar
cantando, porge in modo carezzevole nel recitativo accompagnato “Alma
del gran Pompeo” (atto I sc. VII), cui segue una scena di seduzione che
termina con un bacio tra Cesare e Lidia, alias Cleopatra. Fantastico il dialogo
della sua voce, pastosa nel canto sfumato e agile in quello di forza, col corno
naturale nell’aria “Va tacito e nascosto” (atto I sc. IX) con variazioni
nel da capo. Nell’aria “Se in fiorito ameno prato” (atto II sc. II) con
lunga introduzione degli archi e arpa posizionati in palcoscenico, la Prina,
salita dalla buca dell’orchestra, intraprende un lungo dialogo col violino con
voce duttile, lunghi fiati tenuti, proprietà d’accento, canto sbalzato con
accompagnamento vivace; rivolgendosi a Lidia la voce diventa sensuale nel
recitativo “Che veggio?” (atto II sc. VII). Strepitosa nella vigorosa
grande aria di furia “Al lampo dell’armi” (atto II sc. VIII), con
l’orchestra velocissima e incalzante, mentre uccide i congiurati, esegue con
piglio guerresco i molti vocalizzi e abbellimenti che terminano con grande
slancio acuto tenuto. Peccato non ci sia spazio per gli applausi perché irrompe
Cleopatra bellicosa. Evidenzia pastosità, pienezza e rotondità del suono
nell’aria pacata e lenta “Aure, deh, per pietà” (atto III sc. IV) con
accompagnamento morbido e cadenzato. Bravissima!
Cleopatra è un’incantatrice, a lei sono riservate arie molto acute e
fiorite di grande effetto e di ampio virtuosismo che le conferiscono una
fisionomia smagliante e che la Pratt esegue in modo eccelso.
Jessica Pratt, più matrona romana
dalle forme rotonde e seni prominenti (apprezzati anche da Cesare: “Che bel
sen”, atto I sc. VII) sotto un leggero e trasparente abito bianco, che una
spigolosa regina egizia, di cui non ha il classico taglio di capelli pur
essendo mora, spiega una luminosissima voce di soprano d’agilità con sovracuti
puliti fin dall’aria d’ingresso (“Non disperar, chi sa?”, atto I sc. V);
sotto il falso nome di Lidia sciorina lunghi slanci acuti e sovracuti,
alleggeriti e rinforzati con la messa di voce, e picchiettati cristallini
nell’aria “Tutto può donna vezzosa” (atto I sc. VII). Nel duetto col
figlio Sesto “Son nata a lagrimar” (atto I sc. XI) si sente il dolore
nella voce e nella linea sonora dell’orchestra che segue i gesti larghi del
direttore, ne deriva una captante staticità estatica. Vestita da gran dama,
incorniciata dentro un grande quadro, canta con maggior peso vocale l’aria
canzone “V’adoro, pupille” (atto II sc. II) con gli archi in sordina;
permea di una certa ironia la figura di Cleopatra nella melodia di ampio respiro “Venere
bella” (atto II sc. VII) con fioriture, ripetute puntature e giochi vocali
in acuto e sovracuto, che esegue con facilità d’emissione, bellezza del suono,
alleggerimenti, messa di voce in acuto. La sublimità della musica con orchestra
dolorosa si sposa con la soavità di una voce struggente e l’intensità del
fraseggio nella delicatissima aria di dolore “Se pietà di me non senti”
(atto II sc. VIII), che la Pratt arricchisce con una puntatura sovracuta provocando un’estasi totale e una fragorosa ovazione. E qui
si chiude il secondo atto.
Incatenata, vestita da squaw, nell’aria di
prigione “Piangerò la sorte mia” (atto III sc. III) alterna suoni rotondi e
spianati, morbide mezze voci, dolci filati, sbalzi, trilli e sovracuti con
puntatura improvvisa; esterna tutta la sua abilità virtuosistica nella
bellissima aria agitata molto fiorita e sbalzata, con molti vocalizzi e
picchiettati in acuto, “Da tempeste il legno infranto” (atto III sc.
VII), certamente la più difficile e la più ricca di fiorettature, variazioni,
giochi acrobatici in acuto e sovracuto e trascinante cadenza finale. Splendida!
L’erotismo emerge nel duetto finale con Cesare.
Il contralto Sara Mingardo (una
bionda e riccioluta Cornelia, moglie di Pompeo, con abito celeste
trasparente) è un’artista esperta, dotata di vocalità rotonda e di bel timbro
brunito, fa uso della messa di voce e si esprime con voce patetica, vibrante e
screziata nella lentissima aria di dolore per la morte del marito “Priva son
d’ogni conforto” (atto I sc. IV) con l’accompagnamento delicato delle
tiorbe e dei violini; bella messa di voce iniziale anche nell’aria di dolore “Nel
tuo seno, amico sasso” (atto I sc. VIII) con strumentazione cupa e lenta. A
volte la sua voce è vetrosa e il suono diventa chiuso, sì da sembrare quella di
un controtenore, nel dialogo con Tolomeo della scena VII del III atto, ad
esempio, le due voci sono simili. Scenicamente ha il
contegno e la fierezza del ruolo.
Sesto, figlio di Pompeo e
Cornelia, con tunica chiara corta e calzari
romani, è
interpretato da una brava e temperamentosa Maite Beaumont en travesti, mezzosoprano dalle ottime qualità vocali
(registro grave scuro e zona acuta luminosa e sicura), in possesso di una buona
tecnica di canto. Buoni gli slanci acuti, notevole la tenuta del fiato sia
nelle lunghe frasi spiegate sia nel canto d’agilità e di sbalzo, ottima la
messa di voce nell’aria veloce e scintillante “Svegliatevi nel core” (atto I sc. IV), che sfocia in un’aria di furore; voce di spessore in
grado di ammorbidirsi, modulare e tenere suoni lunghi nell’aria lenta “Cara
speme” (atto
I sc. VIII), sostenuta dal cembalo e dalla viola; esegue bene le fitte agilità
e le grandi espansioni acute con salti al grave, ma la dizione non è sempre
chiara (recitativo “Figlio non è”…aria “L’angue offeso mai riposa”,
atto II sc. VI); brava, pulita, lanciatissima
nell’acutissima aria di furore “La giustizia ha già sull’arco” (atto III sc. VI). Brava!
Antonio Abete in tunica romana presta una
corposa voce di basso a Curio, tribuno di Roma.
Jud Perry con tunica lunga a piastre nere e argento è un ambizioso Tolomeo, re
d'Egitto, fratello di Cleopatra. Il controtenore esibisce bel colore vocale, buone progressioni acute,
agilità, buon peso e densità del suono, ma dizione poco chiara (“Muora Cesare…L’empio, sleale, indegno”, aria di vendetta, atto I sc. VI),
suoni un po’ chiusi e appoggi gravi di petto (“Sì, spietata, il tuo rigore”, atto II
sc. IV). Nell’arioso “Belle dee” (atto II sc. IX ), che in questa
edizione torinese apre il terzo atto, la voce del controtenore è pastosa ma
poco accattivante; denota abilità nel canto di sbalzo, ma precarietà del suono
e brutto grave di petto in finale nell’aria “Domerò la tua fierezza”
(atto III sc. II), rivolta a Cleopatra prigioniera.
Guido Loconsolo, con elmetto, corazza sopra una gonna al ginocchio e stivali,
interpreta Achilla,
duce generale dell'armi e consigliere di Tolomeo. Il baritono ha voce di grande peso capace anche
di puntature acute piene, ma poco duttile (“Tu sei il cor di questo core”, atto I sc. XI). L’aria “Dal fulgor di questa spada”
(atto III sc. I), dolcemente mossa, è ben cantata con voce ampia e di spessore,
ma con qualche intemperanza nell’emissione.
Riccardo Angelo Strano (Nireno, confidente di Cleopatra e di Tolomeo)
è un bravo controtenore con voce brillante in grado di scendere ai gravi in modo
naturale.
Per
quest’opera del genere eroico l’orchestra, più ricca rispetto allo standard
dell’epoca, è quella del Teatro Regio di Torino, con gli aggiunti alla tiorba, alla viola da gamba e al cembalo
dell'Academia Montis Regalis; la concertazione e la direzione sono affidate al
M°
Alessandro De Marchi,
specialista del repertorio barocco e direttore artistico del Festival barocco di Insbruck. Una
direzione precisa, attenta al dettaglio sia nell’intreccio e nei colori degli strumenti che nel
sostegno alle voci e soprattutto appassionata; l’Orchestra risponde
bene sia nella varietà e nella leggerezza della bellissima Ouverture (purtroppo disturbata dai
movimenti scenici), sia nell’espressione del patetismo, sia nei ritmi
incalzanti e nella ricchezza del suono che nell’esuberanza del trionfo, inoltre
i musicisti agli strumenti solisti sono proprio bravi.
Posizionato ai lati dell’orchestra, il
bravo coro del
Teatro Regio, istruito da Claudio Fenoglio, ha solo due
interventi, uno in apertura per salutare l’arrivo di Cesare e uno alla fine con
un’orchestra trionfale per il ritorno di Cesare.
L’allestimento
è quello che Laurent Pelly ideò nel 2011 per l’Opéra national de Paris (regia qui ripresa da Laurie Feldman) con
le scene di Chantal Thomas e le luci di Joël Adam.
L’opera è ambientata nel deposito di un museo
egizio, forse quello
del Cairo visto il fez degli inservienti (ma anche a Torino
c’è un famoso museo egizio), con una grande statua, scatoloni e scaffali con busti
che muovono la testa, la grande testa mozza di Pompeo nel I atto; galleria di quadri barocchi fra
cui uno che segue gli spostamenti di Cesare (assolutamente distraente) e un
grande ritratto di Händel nel II, dove vediamo Achilla con un innaffiatoio
giocattolo e Cornelia piangente che spinge un carrello con palma e poi sale su
un’impalcatura per suicidarsi ma viene salvata da persone che trascinano fino a
lei una scaletta di ferro;tappeti orientali, poi scaffali vuoti nel III,
dove viene introdotto un modulo architettonico raffigurante un paesaggio esotico con sopra Cleopatra e nell’ultima scena sul fondale compare la vela della nave di Cesare e in palcoscenico Cleopatra avvolta in un tappeto che intesse con l’amato un duetto erotico.
La scarsità di luce
impedisce di vedere i visi.
Assistente alla regia Anna
Maria Bruzzese. Assistente
ai costumi Victoria James. Direttore dell'allestimento Saverio Santoliquido.
Uno
spettacolo assolutamente da vedere e ascoltare, sebbene lungo e difficile anche
per recensire.
martedì 2 dicembre 2014
Torino, Teatro Regio Rossini tour
TEATRO REGIO TORINO ROSSINI TOUR
Per la prima volta il Teatro Regio in America
Conferenza stampa
(24 novembre 2014)
di Giosetta Guerra
Nella Sala del Caminetto del
Teatro Regio di Torino il nuovo Direttore Artistico del Teatro Gastón
Fournier-Facio, il Sovrintendente Walter Vergnano, il Direttore musicale Gianandrea
Noseda (tramite video) e il sindaco di Torino Piero Fassino hanno tenuto una
conferenza stampa per annunciare il
dell3 al
9 dicembre 2014, Gianandrea Noseda,
porteranno Guglielmo
Tell di Rossini in forma di concerto con i cantanti Luca Salsi (Guglielmo
Tell), John Osborn/Enea
Scala (Arnoldo), Angela
Meade (Matilde), Marco
Spotti (Gualtiero Farst), Fabrizio Beggi (Melcthal padre), Marina Bucciarelli (Jemmy), Anna Maria Chiuri (Edwige), Gabriele Sagona (Gessler), Mikeldi Atxalandabaso (Ruodi), Saverio Fiore (Rodolfo) e Paolo Maria Orecchia (Leutoldo). Il Coro del Teatro Regio, protagonista
di alcune tra le più belle pagine di quest’opera, sarà istruito dal maestro Claudio Fenoglio
Ecco il calendario:
Mercoledì 3 dic. 2014, Chicago, Harris Theater, ore 19
Venerdì 5 dic. 2014, Toronto, Roy Thomson Hall, ore 19
Domenica 7 dic. 2014, New York, Carnegie Hall, ore 14
Martedì 9 dic. 2014, Ann Arbor (Michigan), Hill Auditorium, ore 19.30
Inoltre
domenica 7 dicembre Gianandrea Noseda dirigerà l’Orchestra del
Teatro Regio in un concerto rossiniano comprendente le sinfonie de La gazza ladra, La
Cenerentola, Il barbiere di Siviglia
e Guglielmo Tell, presso la sede di Eataly a New York, per il connubio tra la cultura del cibo italiano e quella
della grande musica; un concerto a beneficio di The Global Fund, associazione
in prima linea nella lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria, che
vanta tra i fondatori il cantante Bono.
Lunedì
8 dicembre, sempre a New York, nella
prestigiosa sede dell’ONU, più conosciuto come il Palazzo di Vetro, un concerto voluto da Fassino in
occasione della conclusione del Semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione
Europea: l’Orchestra del Teatro Regio eseguirà Antiche arie e danze di Ottorino Respighi e Le quattro stagioni di Antonio
Vivaldi, direttore e solista Sergey Galaktionov, primo violino dell’orchestra.
Il Rossini Tour ha un budget di un milione di euro coperto dai ministeri dei Beni Culturali e degli Esteri e da cinque sponsor privati: Barilla, Eataly, Eni, Lavazza e Maserati.
La scelta del Guglielmo Tell di Rossini
inorgoglisce doppiamente i Marchigiani, perché Rossini è marchigiano e Guglielmo Tell è l’opera che il
tenore marchigiano Mario Tiberini nel ruolo di Arnoldo, affiancato
dalla moglie il soprano Angelina Ortolani nel ruolo di Matilde, ha fatto
trionfare al Teatro Regio di Torino nel 1860.
Notizie storiche
Il
mercoledì 15 febbraio 1860, alle 7 di sera, sempre al Regio di Torino prende il via
l’opera-ballo Guglielmo Tell di Gioachino
Rossini, con repliche il 16- 18- 25
febbraio, 3-12-20 marzo e altre
due di cui non si sono rintracciate le date. Date desunte da La Gazzetta Piemontese dei mesi di febbraio e di marzo. Interpreti: G. F. Beneventano (G. Tell), M. Tiberini (Arnoldo), L. Rossi (Furst), C. Ferrara (Melchtal), G. Marini (Jemmy), G. Bronzino (il Pescatore),
A. Ortolani-Tiberini (Matilde), S. Poggiali (Rodolfo). Primo violino e
direttore d’orchestra F. Bianchi, maestro concertatore G. Panizza. (da Cronologie, p. 189).
La prima rappresentazione ha uno di quegli esiti splendidi che fanno epoca nei fasti teatrali. I risultati sono pressoché costanti nelle varie recite, con una predominanza dei coniugi Tiberini sul resto del cast.
“La Ortolani-Tiberini è sempre una cantante
corretta ed elegante; nella romanza e nel duetto col tenore ed in tutti gli
altri pezzi si mantiene al grado di altezza raggiunto nella Lucia.
Il Tiberini è
insuperabile nei pezzi di grazia e di
sentimento, e per conseguenza in tutta la prima parte del duetto col baritono, nel duetto con
Matilde, nel celebre terzetto e nell’adagio della sua aria, e, dove si richiede
forza, trova anche modo di farsi applaudire senza fare spreco inutile di voce;
l’adagio poi nel duetto fra i due
coniugi Tiberini è quanto di più squisitamente
cantato si possa udire”. (L’Opinione, 23 febb. 1860, Anno XIII, N. 34. Appendice: Cronaca
del Carnevale, p. 2.).
lunedì 1 dicembre 2014
Teatro Regio Torino- Concerto barocco con Dantone
Il barocco al Teatro Regio
di Torino
Händel e Mozart per il debutto al Regio
di Ottavio Dantone, il noto specialista
di musica barocca, nella duplice veste
di solista all’organo e di direttore
dell’Orchestra del Teatro Regio.
(22 novembre 2014)
Di Giosetta Guerra
Il Teatro Regio
di Torino si è concesso un ampio spazio barocco organizzando tra una recita e
l’altra del Giulio Cesare di Händel un concerto di ottima qualità e fattura con musiche di Händel e di Mozart eseguite dall’Orchestra
del Regio diretta da Ottavio Dantone.
La prima parte è stata dedicata a Georg Friedrich Händel (1685-1759).
Water Music è una serie di movimenti orchestrali (raccolti in
3 suite) composti da Händel per il re Giorgio I che
voleva un concerto sul fiume Tamigi, dove appunto Water Music debuttò nel 1717.
Händel e Giorgio I su una chiatta sul Tamigi e dietro un'altra chiatta coi musicisti
L’accurata lettura del direttore e la bravura dei musicisti hanno restituito il fascino di questa musica vitale, colorita e molto comunicativa, con pagine accentate e sincopate che si alternano con la morbidezza degli insiemi e la leggerezza felpata della danza, per sfociare nella festosità della musica di corte che ci riporta ai salotti incipriati di parrucche e broccati; gli interventi solistici degli strumenti hanno fatto emergere le capacità virtuosistiche degli oboi lunari, dei corni pastosi, dei violini solari, dei fagotti sornioni.
Seduto al piccolo organo, Ottavio Dantone ha eseguito con grande maestria ed eleganza il Concerto in fa maggiore per organo e orchestra op. 4 n. 4 HWV 292, sottolineando le peculiarità dei quattro movimenti: I. musica scintillante tutta in acuto per organo solo col sostegno della sezione archi per il primo Allegro, II. musica ovattata dell’organo sopra la mezza voce degli archi nell’ampio Andante di tono intimo e delicato, che dà spazio anche ad un organo più chiacchierino con note ribattute, III. organo delicatissimo con qualche arcata per l’Adagio in minore, IV. scintillio di note saltellate e picchiettate per organo solo nell’Allegro finale con brevi accompagnamenti densi per un dialogo giocoso tra le voci.
Padronanza dello strumento, finezza del tocco, agilità delle dita di Dantone per una brillante esecuzione.
Nella seconda parte ha fatto il suo ingresso sua maestà Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), per cui l’orchestra s’è ingrandita. Per la Sinfonia n.
La
Sinfonia n. 10 in sol maggiore K 74, composta a Milano nel 1770,
durante il primo viaggio in Italia di Mozart quattordicenne, è un esempio di
ouverture italiana in tre tempi: Allegro
in sol magg con vivaci frasi ripetute
dei violini seguite da un dialogo degli oboi sopra una nota tenuta dei corni, Andante in do magg che si allaccia al primo movimento con un rallentamento
del ritmo, Rondò allegro in sol magg, dinamico, dominato da una frase ostinata degli
archi.
Anche
la Sinfonia n. 38 in re maggiore K 504,
detta “Praga”, perché eseguita in
quella città nel 1787, è formata come la precedente da tre movimenti, ma è di
tutt’altra natura, sia perché appartiene a un Mozart più maturo, sia perché è
più innovativa. Nell’alternarsi di potenza e leggerezza si avverte l’atmosfera
misteriosa e il clima d’attesa che si respirano nel Don Giovanni.
Il primo
movimento è un ampio e solenne Adagio,
col suono vellutato dei violini e quello denso dei fiati, cui segue l’Allegro con un intreccio di temi e di
suoni. L’Andante centrale, una lenta
e languida melodia un po’ soporifera, alterna molteplici temi ed è imperniato
sulla delicata leggerezza degli archi. Il Presto
finale è una pagina effervescente in cui s’intrecciano con ritmo incalzante
volatine di violini, brontolii di fagotti, cinguettii di flauti in un amalgama
sonoro di grande piacevolezza e termina in tono trionfale con l'intera
orchestra.La direzione attenta e partecipata di Ottavio Dantone, specialista del repertorio barocco, virtuoso del clavicembalo e fortepiano, direttore dal 1996 dell’orchestra barocca Accademia Bizantina, ha coinvolto l’Orchestra del Regio di Torino, che ha suonato magnificamente e ha coinvolto anche il pubblico che è rimasto molto soddisfatto.
i mitici lampadari del Regio
giovedì 13 novembre 2014
Fano Teatro Fortuna prosa DON GIOVANNI
Fano
Teatro della Fortuna
Don Giovanni di Molière
Alessandro Preziosi è Don Giovanni
“Tutto il piacere
dell’amore è nel mutamento”
(2 novembre 2014)
Di Giosetta
Guerra
Dopo il debutto al Teatro Gentile di Fabriano, Don
Giovanni di Molière, prodotto da
Khora.teatro, Teatro Stabile d’Abruzzo, approda al Teatro della Fortuna
di Fano l’1 e il 2 novembre 2014.
Don
Giovanni, nato nel 1625 con l’opera teatrale in versi El burlador de Sevilla
y convidado de piedra del drammaturgo spagnolo Tirso de Molina, non morirà
mai, nonostante lo faccia ogni volta che va in scena.
Ề il personaggio più
corteggiato da scrittori e operisti del XVII e XVIII secolo, (le opere più note sono Dom Juan ou le
festin de pierre commedia tragica di Molière pubblicata nel 1665 e il dramma giocoso Don
Giovanni musicato da Mozart su libretto di Da Ponte debuttata nel 1787) ed
è uno dei personaggi più amati dal pubblico per quella dissacrante spavalderia
liberatoria tipica della gioventù e della voglia di vivere, in netto contrasto
con le oscure regole poste ora e allora da religioni oscurantiste ed
inquisitorie.
Ed è proprio Don Giovanni di Molière nella
traduzione e adattamento di Tommaso Mattei che Alessandro Preziosi, in qualità
di attore e di regista, sta portando nei teatri italiani, attirando un pubblico
giovane soprattutto femminile, che entra attratto dalla sua avvenenza ed esce
con una maggior conoscenza di un classico della letteratura.
Il ruolo del ricco e giovane libertino gli sta proprio a pennello: Preziosi disegna un
Don Giovanni bello e impossibile che si confronta sinceramente solo col suo
servitore pur dominandolo, avvolgente e ironico nel corteggiamento decanta l’infedeltà come generosità verso tutte le donne, sfuggente e dissacratore preferisce la concretezza della matematica alla vaghezza della religione e
gestisce con spirito goliardico il suo rapporto con le donne e col
Commendatore, peccato che non abbia potuto sfruttare il magnetismo dei suoi
occhi perché la scena era per lo più poco illuminata.
Preziosi è animale da
palcoscenico e gestisce con disinvoltura i lunghi dialoghi con Sganarello
(il Leporello mozartiano) e i monologhi sui temi basilari della vita: fedeltà,
fede, religione, pragmatismo, ipocrisia; piega abilmente alle esigenze del
copione la recitazione, che è all’occasione insinuante, sensuale, burlesca,
giocosa, divertita, veemente, audace, sprezzante; il gesto sempre appropriato
segue la mente, la figura slanciata ed elegante arricchisce la padronanza
scenica. Versatile nel finto dialogo col padre Don Luigi assente, a cui
lui stesso presta la voce modificata.
Chi parla più di tutti è Sganarello
che filosofeggia fino alla noia, ma, si sa, il teatro di Molière è il teatro
della parola e non puoi perderne neanche una, anche se una maggior stringatezza
gioverebbe al ritmo teatrale. Lo interpreta un bravo ed esperto Nando Paone, un
servitore maturo che cerca di tenere a freno le intemperanze del suo padrone.
La giovane coppia di contadini
Pierino e Carlotta
(Masetto e Zerlina per Mozart) è interpretata da due giovanissimi attori,
Daniele Paoloni e Barbara Giordano, con gestualità sciolta, mimica facciale
espressiva, recitazione fluida. Paoloni veste anche i panni di Francisco
un mendicante e di Ragotin servo di Don Giovanni e la Giordano
quelli di uno spettro.
Tutti a loro agio i numerosi attori, calati in più ruoli: la brava e temperamentosa Lucrezia Guidone (Elvira, sposa di Don Giovanni), Daniela Vitale (una vivace Maturina, contadina innamorata del Don, poi Violetta serva di Don Giovanni), Matteo Guma (Don Carlos fratello di Elvira, poi Ramon spadaccino di Don Giovanni), Roberto Manzi (Gusman scudiero di Elvira, Don Alonso fratello di Elvira e il mercante Signor Domenica conciato da ebreo).
L’allestimento scenico si
avvale di moduli scorrevoli, di un velatino per azioni in trasparenza e in
contemporanea, di proiezioni dietro e davanti al velatino, per dare all’azione
l’ubicazione richiesta dal libretto, così compaiono effetti d’acqua sul fondale
per lo scampato annegamento di Don Giovanni e Sganarello, alberi arabescati per
lo scambio d’abiti tra servo e padrone all’aperto, un pesante mausoleo in
pietra bianca con al centro una statua che muove la testa e la bocca (soluzione
azzeccata), visione di uno spettro e della morte con la falce prima dell’arrivo
della statua a cena, comparsa della statua dietro il velatino raggiunta da Don
Giovanni, che le dà la mano e, esclamando ”Il mio corpo è un braciere”
viene avvolto dalle fiamme (soluzione registica di grande effetto), sopra l’inquietante
musica del Don Giovanni di Mozart (finalmente, io l’avrei usata di più
in corso d’opera, perché il mistero che si respira con la musica di Mozart è
ben più intenso di quello che si trova nel testo di Molière).
Belli dunque gli effetti
scenici e i cambi di scena, eleganti le figure fisse in controluce, come quella
d’apertura che mostra due spadaccini in costumi settecenteschi (Don Giovanni e
il Commendatore) fermi sotto una nevicata.
Splendidi i costumi
d’epoca completi di parrucca bianca o scura con codino per i due protagonisti,
adeguati ai personaggi e alle situazioni quelli degli altri.
Scene di Fabien Iliou,
costumi di Marta Crisolini Malatesta, musiche di Andrea Farri, luci di Valerio
Tiberi, supervisione artistica di Alessandro Maggi, regia di Alessandro
Preziosi.
Uno spettacolo
complessivamente ben fatto (qualche ritocco alle luci e alle musiche non
guasterebbe), che dovrebbe spingere chi non lo conosce ancora ad ascoltare il Don
Giovanni di Mozart, ben più intrigante e variegato del Don Giovanni di
Molière.